[Flussi]
C’è una lavagna che attende di essere cancellata.
La polvere di gesso sente che la sua ora è giunta, chiude gli occhi e si aggrappa al nero più forte che può, con tutta la tenacia che gli permettono le sue dita di solfato di calcio.
Calamite e cartoline si abbracciano e si dicono addio, versano lacrime che cadono su un pavimento lontano ed evaporano immediatamente.
Parole e disegni scrivono testamenti, memoriali, autobiografie che consegnano ai posteri, che non si dica che sono andate via senza lasciar traccia.
Un cancellino avanza con il capo chino, coperto d’un cencio scuro che ne nasconde il volto; con un po’ d’attenzione se ne può percepire il tremolio, l’indecisione del boia.
La lavagna guarda fisso di fronte a sé, intenzionata a sopportare il dolore e la perdita con la dignità d’una dea, con la fermezza d’una lastra di ardesia.
C’è una lavagna che attende di essere riscritta.