[Varietà]
Mi pareva
un supplizio a raggi UV
un’offesa a vita bassa
uno sconquasso di bacini
una lotta tra felini
un tormento cacofonico
una piaga inestirpabile
e invece era
un reggaeton di merda.
[Varietà]
Mi pareva
un supplizio a raggi UV
un’offesa a vita bassa
uno sconquasso di bacini
una lotta tra felini
un tormento cacofonico
una piaga inestirpabile
e invece era
un reggaeton di merda.
[Varietà]
Saldo e irremovibile il platano, negli anni, era riuscito a trovare il proprio equilibrio in quell’angolo un po’ anonimo di periferia, nel risicato spazio di un giardinetto di quartiere, centro di scambio di convenevoli tra i cani della zona.
La bambina è riuscita ad arrivare al terzo ramo, si tiene forte alla corteccia, i polpastrelli ancorati alla superfice umida e sgarbata. Senza mai rivolgere lo sguardo verso il terreno che l’attende paziente due metri più in basso, l’attenzione della ragazzina è fissa sul movimento successivo, sul gradino che l’avrebbe portata un po’ più su. Il prossimo ramo sarebbe stato quello giusto, il prossimo passo sarebbe stato quello più importante.
La bambina inspira e tiene fermo il fiato, stacca le dita dal ramo e drizza le gambe, espira decisa e allunga le braccia. Si aggrappa al legno e spreme tutta la forza, come un tubetto di dentifricio, per tirarsi su; non si rilassa finché non si sente finalmente stabile e sicura, solo a quel punto guarda giù. Il terreno, tollerante, risponde al suo sguardo.
La bambina con una piccola smorfia muove il naso, alza un sopracciglio e si gira verso il prossimo ramo.
[The One]
Un po’ come il colore del cielo che arrossisce di fronte al mare
un po’ come il calore dell’orizzonte verso cui volano i gabbiani
un po’ come l’odore del vento che trasporta pollini e ricordi
un po’ di tutto questo si posa sulla pelle
quando di notte
ci abbracciamo.
[Varietà]
Mi pareva
un afflato di tradizione
un’istigazione peccaminosa
un tripudio olfattivo
una promessa alle papille
un addio alla sobrietà
una piscina di trigliceridi
e invece era
una parmigiana fatta in casa.
[Varietà]
Tante piccole orme, una dopo l’altra, una catena di ombre su un manto tanto bianco da infastidire lo sguardo.
Una bambina cammina nella neve con il capo chino, controllando meticolosamente ogni movimento del corpo. Ad ogni passo appoggia piano la suola delle scarpe sulla superficie bianca, si ferma un attimo, si sforza di percepire il confine tra aria e neve, poi molla gli ormeggi e lascia che il peso della gamba faccia affondare il Moon Boot rosso fuoco.
La bambina tende l’orecchio, assaggia lo sgranocchio dello stivaletto che trova un’improbabile resistenza, annusa il freddo che si compatta, intuisce il cambio di stato da neve fresca a neve schiacciata e sporcata. Poi di nuovo silenzio.
La bambina si blocca un attimo, resta completamente immobile fatta eccezione per il vapore del suo fiato, poi muove un muscolo e fa un altro passo.
[Varietà]
Sdraiato a terra
gres porcellanato effetto legno sotto la nuca
rimbomba una canzone
pulsa nel cervello
ovatta le sinapsi
panna cotta i pensieri.
Ma poi, quali pensieri?
Qui è tutto un pot-pourri di melassa e bassi
quattro-quarti e comandi vocali
amplificato dal gress porcellanato effetto legno
che è un ottimo conduttore
o forse no
in fisica avevo 4.
Ma poi, che canzone è?
Quella canna era decisamente troppo forte.
[Varietà]
Mi pareva
un assembramento recidivo
una nidiata abbandonata
un melting pot superfluo
una cerchia cospiratrice
un rotolacampo personale
una dimenticanza Jovanottiana
e invece era
la peluria dell’ombelico
[Varietà]
Appesa a un filo di nebbia
rintocca la campana dei giorni di pioggia
vibra una nota piatta, carica di pallore
e intanto noi
chiusi dentro una bolla cava
pesante
persistente
ticchettiamo sulle pareti come ballerini senza gioia
galleggiamo in attesa che passi un’altra ora
un’altra ora ancora.
[Varietà]
Una bambina, sdraiata sulla cima di una collinetta erbosa, guarda la discesa e conta in silenzio.
– Tre, due, uno…
Trattiene un palloncino di fiato nei polmoni, si sporge appena e lascia che l’inerzia le faccia prendere velocità.
Mentre rotola, prima piano poi sempre più veloce, tiene le braccia alte sopra la testa, tese come se dovesse arrivare al pensile alto della cucina, e lo sguardo serio, intenzionata a non perdersi neanche una sfumatura dei colori che le si alternano frenetici davanti agli occhi. Il terreno diminuisce la propria pendenza, tornando progressivamente in piano, e con lui rallenta anche la corsa della trottola umana, finché non si ferma con un leggero tonfo sull’erba.
Sdraiata sulla schiena la bambina fissa il blu, la testa che le gira appena e fa ruotare le nuvole sopra di lei, e ripensa al caleidoscopico alternarsi tra terreno e cielo della sua discesa. Ricerca un particolare, un’immagine al confine tra realtà e fantasia, un fotogramma fuori posto.
Dopo qualche minuto sbuffa, si tira su e torna decisa sulla cima della collina.
[Varietà]
Il respiro, profondo, irregolare, della persona che dorme accanto.
Il ronzio della lampadina accesa a fianco del letto.
Il gorgoglio dell’acqua che scende nei tubi condominiali.
Lo scalpiccio della famiglia al piano superiore.
Il crepitio di una bottiglia di plastica in cucina, che tenta di tornare alla sua forma originale.
Il vocio di un gruppo di ragazzi che passa sotto la finestra.
Il latrato di un cane in lontananza.
Sopra un tappeto monofrequenza si stendono tutti i rumori, uniti da un filo metallico, acuto e costante, che ha cancellato il ricordo della forma del silenzio.