Pausa

[Flussi]

Dopo poco più di due anni Gabbiani Grassi e Fogli Volanti si prende una pausa.

Di quanto?

Del tempo necessario per rimettere in ordine idee e priorità, per riorganizzare argomenti, per prendere il sole e la salsedine, per respirare e ripensare il futuro.

Storie vecchie e nuove, ritmi armonici, selezione all’ingresso e un foglio bianco da cui ripartire. Che tanto bene fa.

Ci si vedrà più in là, quando il tempo lo permetterà, tararì e tararà, non facciamo che ‘un ci si sente più eh.

Buoni voli.

Esperienza extracorporea

[The One]

Mi piace guardarti mentre parli con la gente.

Mi pare quasi irreale.

Osservarti interagire con il mondo, come se allargassi per un momento l’inquadratura, come se vivessi una di quelle esperienze extracorporee nelle quali i fantasmi sono di un azzurro semitrasparente, come se all’improvviso constatassi che esisti veramente.

Come se ogni tanto fosse necessario allontanarsi per vederti meglio.

Intanto tu parli, parli, parli e io sorrido, aspettando che mi guardi, per tornare ad avvicinarmi e vederti da vicino, vicinissimo.

Vita d’un paguro 6

[Varietà]

Lucas aveva origliato per caso la conversazione e adesso era nel mezzo di una tromba marina di emozioni. Sentiva la rabbia bruciante nei confronti del padre, della sua folle decisione e delle sue menzogne; intravedeva un riflesso di tristezza da abbandono, da solitudine incombente; percepiva un’eco di senso di colpa, pesante alla base del collo, a cui non riusciva a dare una forma vera e propria. Nel gorgo si mescolavano paura, sgomento, violenza e voglia di scappare.

Prima che riuscisse a far ordine e decidere che cosa fare, il padre girò l’angolo e lo vide.

– Lucas, che cos…

– Pezzo di guano, mi fai schifo, mi fa schifo che tu sia mio padre, ti odio!

Edgar rimase paralizzato di fronte alla rabbia del figlio, passò qualche secondo prima che riuscisse ad articolare una qualsiasi parola.

– Lucas, non capisci, ti spiegherò tutto, tutto si risolverà, è per…

– Non dire che è per il mio bene, né per quello di mamma! Sei un plancton di egoista del plancton e ti odio!

– Lucas, ora basta! Cosa ne puoi sapere tu? Sono tuo padre non ti permettere di mancarmi di rispetto in questo modo!

La voce usciva acuta ed affannata, le parole erano istintive, sragionate.

Lucas guardava il padre negli occhi, mentre sentiva i propri che si gonfiavano come la marea.

– Perché vuoi abbandonarci? Cosa ti abbiamo fatto?

Il tremolio della bocca ebbe la meglio e Lucas sentì le lacrime sgorgare lente. Edgar percepì il peso di un’intera baia calarglisi sulla conchiglia, lottò contro l’insorgere del pianto. Non voleva crollare di fronte al figlio.

– Lucas, tu e la mamma siete tutto per me, io, io non voglio causarvi dolore, come posso… come posso darvi l’amore che meritate se navigo in tutta questa tristezza?

Il giovane paguro aveva abbassato lo sguardo, di tanto in tanto tirava su con il naso.

– Non lasciarmi solo papà. Quando Lucas alzò il capo Edgar sentì il fiato spezzarsi, gli occhi si riempirono di lacrime, poi girò la conchiglia e se ne andò.

Senza fiato

[Flussi]

Vorrei scrivere a parole quella sfumatura di arancione, quella che scivola tra il rosso di una nuvola bassa e il giallo di un solicchio che si spegne in una riga marina e fa “ffffff”, come un fiammifero acceso che si tuffa in un bicchier d’acqua, dove mi perdo e nuoto rimbombando contro le pareti come un pesce sordo che memoria non ne avrà mai e che, cercando un modo per non perdersi tutto quel che vive, scrive sul vetro con il naso tutto quel che può, come quando scrivo sulla doccia appannata anche se le lettere svaniscono dopo un momento, lasciando una bolla trasparente che divide chi sta dentro e chi sta fuori, sebbene essere fuori non sia possibile in un mondo di ranghi, stretti come arnie a vento alimentate da aliti di fiato, dove per uno che respira altri novecentonovantanove muoiono, e allora che senso ha cercar parole per far vedere un arancione che in un attimo è passato, memoria, storia, oblio, addio.

Servizio pulizia interni

[Varietà]

Ho ordinato un caffè e me lo sono portato al tavolo, esonerando il calvo dietro al bancone da un servizio che dubito sia previsto qui, al bar dell’autolavaggio. Più precisamente degli autolavaggi, poiché, in questo piazzale a lato di una strada molto battuta, il proprietario d’auto lercia ha l’imbarazzo della scelta: far da sé, cedere l’incombenza a sistemi automatici più o meno complessi, o lasciare che siano esperti del settore a mettere mano su tappetini incrostati e cerchioni infangati.

Io la mia scelta l’avevo fatto poco prima; mentre mi aggiravo in quella variegata offerta igienica, il mio sguardo era stato attirato da una scritta a mano, su un paio di fogli A3 scotchati insieme, che recitava “Servizio pulizia interni”. La nettezza della macchina non è mai stata in cima ai miei pensieri, delego volentieri l’onere in cambio d’una cifra ragionevole, con un’alta probabilità di non vederne mai la ricevuta.

Microevasione a parte, riparato dalle lastre di plexiglass d’un accrocchiato dehor, osservo il mondo degli autolavaggi che mi scorre davanti: ciclisti arcobaleno, un’habitué del bar su tacchi a spillo, poliziotti in borghese, cinquantenni dall’aria spaesata, un paio di signori tassellati ai migliori posti del locale. Negli immediati dintorni del bar si raduna una fauna prettamente maschile, che mi ricorda i gruppetti estivi che accerchiavano il calcetto della piscina. Intorno a me sciama umanità variegata, occasionale o di casa, mentre vetture entrano sudicie ed escono mondate da polvere e peccati.

– Capo! È pronta.

Riporto al banco la tazzina, faccio un cenno di saluto al calvo e, con un vago senso di colpa, poso le scarpe su tappetini meravigliosamente lindi.

Spettacolo capitale

[Varietà]

Balla, balla bambolotto
sopra un palco d’immondizia
fa’ una bella piroetta
in eterno il tuo supplizio.
Canta, canta marionetta
una nenia senza senso
alla fine del tuo atto
spera in una morte lesta.
Esibisciti per noi
grato per l’eternità
al padrone che lassù
sparge soldi agli operai.

Il colore del burrone

[Varietà]

Sul ciglio d’un orrido dondolano un paio d’occhi, si sporgono verso il buio, poi si tirano indietro.

Le sfumature d’un burrone cangiano di sguardo in sguardo, di pennellata in pennellata.

Una paura a setole dure stenderà colori rigidi, farà tremare muri e sciogliere gelati.

Un rimpianto a punta arrotondata ungerà lo sfondo con gocce lucide, accenderà lampioni irreali.

Una delusione dal pelo sintetico lascerà solchi carmini, incendierà felci secche e parole amare.

Una tristezza a rullo largo coprirà vuoti e singhiozzi, bagnerà federe e fogli bianchi.

Una rabbia dal manico di metallo gratterà il centro della tela, esploderà urla belluine nel silenzio.

Sul ciglio d’un orrido dondolano un paio d’occhi, si sporgono verso il buio, poi si lanciano nel vuoto e lo colorano.

Le sensazioni della prima volta

[Flussi]

Esiste una gamma di sensazioni irripetibili per definizione.

Le sensazioni della prima volta.

Ricordi sinestetici che accompagnano la vita a braccetto con la nostalgia, e fanno da termine di paragone con tutto ciò che viene dopo. Spesso si trascinano dietro immagini, colori, parole e altre, indefinibili, sensazioni.

Vorrei poter percepire quelle emozioni ancora una volta. Vorrei sentire gli odori come se non li conoscessi, riempirmi delle emozioni binarie dell’infanzia, vorrei avere sensi vergini e illibati. Vorrei, ma non posso, quindi scrivo e rileggo.

Il primo tuffo in mare, il primo Fior di Fragola, la prima volta che ho ascoltato Stairway to heaven.

Il primo volo in aereo, il primo bacio, la prima volta che ho mangiato i pomodori dell’Isola d’Elba.

La prima carezza, il primo boato della Maratona, la prima volta che ho sentito il profumo di una pineta.

La prima focaccia, il primo stipendio, la prima volta che ho visto un concerto dal vivo.

La prima sbronza, la prima vacanza con gli amici, la prima volta che ho letto la morte di Druss.

Il primo giorno di università, il primo viaggio in autostrada, la prima volta che ho visto una lucciola.

La prima volta che ho sentito il nostro amore, quella no; quella la rivivo ogni volta che ci guardiamo negli occhi.

Statistiche e riflessioni

[Varietà]

[Post più autoreferenziale, e autocelebrativo, del solito, abbiate pazienza.]

Ieri Gabbiani grassi e fogli volanti ha compiuto 2 anni.

Fuori i numeri! Come richiede la società dei consumi e delle statistiche. 315 testi, con questo; 203 followers su Instagram, 194 likes su Facebook, alla data in cui scrivo, che a spanne significa, senza contare i doppioni, 1 post per ogni follower.

Alcune gioconde riflessioni in merito.

La réclame.

Sono aperti i saldi! Che ognuno di voi si accaparri un post! Tutti testi originali made in me 100%! Presto, i migliori stanno già andando a ruba! È un’offerta che scade nel momento in cui la leggete!

La riflessione piagnona.

Scrivere sui social, farlo in maniera molto personale, mischiando generi e ispirazioni, buttando dentro presunta poesia, sfoghi e storielle dal significato profondo quanto un pozzo, lo facciamo in tanti. Troppi. E badate bene, mi metto nel “troppi”. Però non si fa del male a nessuno. Non è vero, a volta si fa del male a noi stessi, ma spesso l’arroganza supera l’autolesionismo. Procediamo quindi, al galoppo verso nessuno sa cosa.

La brillante conclusione dal sorriso amaro.

Quella che in fondo tutti cerchiamo, che spesso contraddistingue un testo mediocre da un testo che appare pregno di significato. Beh, la brillante conclusione questo testo sconclusionato non ce l’ha, ci sono due candeline, tocca soffiarci sopra, guardare il fumo che va e sorridere a questo strano mondo.

Tanti auguri ai gabbiani grassi e ai fogli volanti.