[Varietà]
Ho ordinato un caffè e me lo sono portato al tavolo, esonerando il calvo dietro al bancone da un servizio che dubito sia previsto qui, al bar dell’autolavaggio. Più precisamente degli autolavaggi, poiché, in questo piazzale a lato di una strada molto battuta, il proprietario d’auto lercia ha l’imbarazzo della scelta: far da sé, cedere l’incombenza a sistemi automatici più o meno complessi, o lasciare che siano esperti del settore a mettere mano su tappetini incrostati e cerchioni infangati.
Io la mia scelta l’avevo fatto poco prima; mentre mi aggiravo in quella variegata offerta igienica, il mio sguardo era stato attirato da una scritta a mano, su un paio di fogli A3 scotchati insieme, che recitava “Servizio pulizia interni”. La nettezza della macchina non è mai stata in cima ai miei pensieri, delego volentieri l’onere in cambio d’una cifra ragionevole, con un’alta probabilità di non vederne mai la ricevuta.
Microevasione a parte, riparato dalle lastre di plexiglass d’un accrocchiato dehor, osservo il mondo degli autolavaggi che mi scorre davanti: ciclisti arcobaleno, un’habitué del bar su tacchi a spillo, poliziotti in borghese, cinquantenni dall’aria spaesata, un paio di signori tassellati ai migliori posti del locale. Negli immediati dintorni del bar si raduna una fauna prettamente maschile, che mi ricorda i gruppetti estivi che accerchiavano il calcetto della piscina. Intorno a me sciama umanità variegata, occasionale o di casa, mentre vetture entrano sudicie ed escono mondate da polvere e peccati.
– Capo! È pronta.
Riporto al banco la tazzina, faccio un cenno di saluto al calvo e, con un vago senso di colpa, poso le scarpe su tappetini meravigliosamente lindi.