Servizio pulizia interni

[Varietà]

Ho ordinato un caffè e me lo sono portato al tavolo, esonerando il calvo dietro al bancone da un servizio che dubito sia previsto qui, al bar dell’autolavaggio. Più precisamente degli autolavaggi, poiché, in questo piazzale a lato di una strada molto battuta, il proprietario d’auto lercia ha l’imbarazzo della scelta: far da sé, cedere l’incombenza a sistemi automatici più o meno complessi, o lasciare che siano esperti del settore a mettere mano su tappetini incrostati e cerchioni infangati.

Io la mia scelta l’avevo fatto poco prima; mentre mi aggiravo in quella variegata offerta igienica, il mio sguardo era stato attirato da una scritta a mano, su un paio di fogli A3 scotchati insieme, che recitava “Servizio pulizia interni”. La nettezza della macchina non è mai stata in cima ai miei pensieri, delego volentieri l’onere in cambio d’una cifra ragionevole, con un’alta probabilità di non vederne mai la ricevuta.

Microevasione a parte, riparato dalle lastre di plexiglass d’un accrocchiato dehor, osservo il mondo degli autolavaggi che mi scorre davanti: ciclisti arcobaleno, un’habitué del bar su tacchi a spillo, poliziotti in borghese, cinquantenni dall’aria spaesata, un paio di signori tassellati ai migliori posti del locale. Negli immediati dintorni del bar si raduna una fauna prettamente maschile, che mi ricorda i gruppetti estivi che accerchiavano il calcetto della piscina. Intorno a me sciama umanità variegata, occasionale o di casa, mentre vetture entrano sudicie ed escono mondate da polvere e peccati.

– Capo! È pronta.

Riporto al banco la tazzina, faccio un cenno di saluto al calvo e, con un vago senso di colpa, poso le scarpe su tappetini meravigliosamente lindi.

Spettacolo capitale

[Varietà]

Balla, balla bambolotto
sopra un palco d’immondizia
fa’ una bella piroetta
in eterno il tuo supplizio.
Canta, canta marionetta
una nenia senza senso
alla fine del tuo atto
spera in una morte lesta.
Esibisciti per noi
grato per l’eternità
al padrone che lassù
sparge soldi agli operai.

Statistiche e riflessioni

[Varietà]

[Post più autoreferenziale, e autocelebrativo, del solito, abbiate pazienza.]

Ieri Gabbiani grassi e fogli volanti ha compiuto 2 anni.

Fuori i numeri! Come richiede la società dei consumi e delle statistiche. 315 testi, con questo; 203 followers su Instagram, 194 likes su Facebook, alla data in cui scrivo, che a spanne significa, senza contare i doppioni, 1 post per ogni follower.

Alcune gioconde riflessioni in merito.

La réclame.

Sono aperti i saldi! Che ognuno di voi si accaparri un post! Tutti testi originali made in me 100%! Presto, i migliori stanno già andando a ruba! È un’offerta che scade nel momento in cui la leggete!

La riflessione piagnona.

Scrivere sui social, farlo in maniera molto personale, mischiando generi e ispirazioni, buttando dentro presunta poesia, sfoghi e storielle dal significato profondo quanto un pozzo, lo facciamo in tanti. Troppi. E badate bene, mi metto nel “troppi”. Però non si fa del male a nessuno. Non è vero, a volta si fa del male a noi stessi, ma spesso l’arroganza supera l’autolesionismo. Procediamo quindi, al galoppo verso nessuno sa cosa.

La brillante conclusione dal sorriso amaro.

Quella che in fondo tutti cerchiamo, che spesso contraddistingue un testo mediocre da un testo che appare pregno di significato. Beh, la brillante conclusione questo testo sconclusionato non ce l’ha, ci sono due candeline, tocca soffiarci sopra, guardare il fumo che va e sorridere a questo strano mondo.

Tanti auguri ai gabbiani grassi e ai fogli volanti.

Vita d’un paguro 5

[Varietà]

Edgar attendeva dall’altra parte della cornetta calcolando mentalmente il costo della chiamata. Ticchettava nervosamente la chela sul telefono pubblico, quando finalmente una voce squillante lo risvegliò dal torpore.

– Hola cuginettos! Como estas?

– Marcello, ciao. Tutto bene, tu?

– Una maravilla cuginettos! Ti è arrivata la cartolina?

– Sì, mi è arrivata, sent…

– Ecco! Qui è dieci volte meglio! Le spiagge sono più bianche, il mare più cristallino, e le chicas… oh le chicas non te le sto neanche a dire! Ho conosciuto una tellina che…

– Marcello senti, non ti offendere, non me ne frega un plancton. Devo parlarti.

– Che succede cuginettos?

– Sono completamente esausto Marcello. Me ne voglio andare.

– In che senso Edgar? È successo qualcosa tra te e Marisa?

– No! Cioè, sì… non lo so. Il problema non è lei, sono io, questo lavoro del plancton e quei peduncoli di guano a capo della società. Non lo so. Io e Marisa ci amiamo, ma non stiamo reggendo i colpi della vita, io non sto reggendo i colpi della vita e…

– Uoh, uoh fermo cugi, piglia fiato e cerchiamo di ragionare.

– L’ho già fatto Marcello. Ho già ragionato. Voglio andarmene, lo voglio fare per la mia famiglia, per Marisa, devo prendermi del tempo per capire cosa fare.

– Cugi mi sembra che tu stia dicendo un sacco di planctonate. Non vorrai lasciare Marisa e il piccolo?

– No Marcello, non voglio lasciarli, sono tutto per me. Ma lo faccio per loro. Sto distruggendo tutto, li sto facendo star male.

– Edgar, calmati. Non puoi prendere e mollare tutto così da un giorno all’altro. Hai una famiglia, un lavoro stabile, un…

– Mi sono licenziato.

– Cosa?? Che plancton dici?

– Stamattina, mi sono licenziato.

– Edgar che plancton hai in testa?

– Voglio venire nei Caraibi. Mi trasferisco lì per un po’. Rimetto a posto le idee, magari trovo un lavoretto, un posto carino e faccio poi trasferire Marisa e Lucas.

– Edgar, orca puttana, ma Marisa che dice di tutto questo?

– Marisa non sa nulla.

– Ma Poseidone scotoplanes.

Vita d’un paguro 4

[Varietà]

Cielo. Sole. Vento.

Dalla pelle dell’oceano spuntò la coda di una balena, nera e lucida di riflessi. In un movimento a rallentatore ritagliò l’orizzonte, poi s’immerse e scomparve. In aria galleggiava un gabbiano svagato, gli occhi stretti e le ali aperte. Volava, immaginando l’ignoto e sognando l’amore, o forse avendo solo fame. Sul bagnasciuga la schiuma delle onde si fermava per un attimo prima di dissolversi, colorando di scuro lo strato di spiaggia umido. A pochi metri dal volatile limite che le onde non avevano ancora superato, un paguro interruppe il silenzio con un poderoso rutto.

Marcello socchiuse gli occhi e guardò verso il cielo, rimanendo abbagliato per un attimo dai raggi solari caraibici. Quella mattina si era svegliato con un importante mal di testa, causato da un post sbronza di quelli da granchio reale. Non c’era niente da fare, pensò massaggiandosi le tempie, non si era ancora abituato al rum del posto, così dolce e infingardo.

Per festeggiare il suo primo mese caraibico aveva prenotato il privé più lussuoso del Crustacean Royale, offrendo da bere a tutti, gasteropodi e non. Gli effetti sarebbero stati persistenti, ma Marcello non dava impressione di preoccuparsene.

– Marçelo! Marçelo mio!

La voce acuta e sensuale apparteneva a Olinda, una tellina del posto che si era intrattenuta tutta la sera con Marcello e i suoi amici. Olinda aveva bevuto più di tutti loro messi insieme, senza scomporsi di un granello.

– Marçelo mio, che bruta viso che tiene! Todo bien?

– Si corallino mio, solo che non sono più il crostaceo di un tempo e certe serate non le reggo più un granché bene.

– Hihihi, que tonto que sei Marçelo, me fai morir!

– Eh, di ‘sti ritmi pure tu…

– Que?

– Nada amor, nada. Perché mi cercavi?

– Te busca un tipo que ha llamado al telefono del bar. Se chiama Edgardo.

Marcello diede l’impressione di non recepire immediatamente l’informazione, poi si alzò a fatica e si diresse verso il locale per rispondere alla chiamata del cugino.

Vita d’un paguro 3

[Varietà]

Edgar era affranto. Dall’altra parte della conchiglia gli arrivavano i singhiozzi della moglie, si sentiva in colpa e impotente. Erano mesi che litigavano pressoché tutti i giorni, ma questa era la prima volta che Marisa non riusciva a controbattere al malumore del marito.

Si amavano, di quello era certo, si amavano profondamente. Se lo ripetevano spesso, come se avessero bisogno di ricordarselo a vicenda, come se avessero bisogno di uno scoglio al quale aggrapparsi.

Sembrava passato un secolo da quando avevano firmato il contratto per l’acquisto del loro masso, da quando aveva tenuto tra le chele il piccolo Lucas per la prima volta, da quando si svegliava la mattina carico di entusiasmo per recarsi al lavoro di buon’ora, salutando tutti con il sorriso, orgoglioso di far parte della Cooperativa Pagurense, che tanto bene faceva alla società e all’ambiente.

O almeno così gli avevano fatto credere.

La Cooperativa si era rivelata una società satellite di una multinazionale con pochi scrupoli e molti profitti. Il mantello di solidarietà e politica green nascondeva un giro di interessi dell’élite dei granchi ben abbienti, che sfruttava la facciata eco-solidale della società per farsi belli alle cene di beneficienza, mentre riciclavano nient’altro che i loro guadagni illeciti. Gli scandali avevano colpito le alte sfere, ma gli effetti si erano sentiti perlopiù tra i semplici lavoratori: riduzione di personale, ritardi nei pagamenti e orari al limite del crostaceamente accettabile.

Negli anni la disillusione e la routine avevano fiaccato lo spirito di Edgar, portandolo, senza rendersene conto, a essere ciò che più di tutto detestava: suo padre.

Alzò lo sguardo e vide che sul comodino, tra la posta che Marisa aveva raccolto, c’era una cartolina colorata.

Proveniva dai Caraibi ed era firmata “Marcello”. Suo cugino. Quel maledetto fancazzista. Edgar fissò la cartolina per dieci minuti buoni, poi la stracciò.

E invece 29

[Varietà]

Mi pareva

un sequestro alieno

una défaillance effimera

un mancamento fulmineo

una badilata temporale

uno svenimento post-apocalittico

una pausa sensoriale

e invece era

un abbiocco pomeridiano.

Fermo a uno sguardo esterno

[Varietà]

Un bambino stringe gli occhi e fissa il cielo. Vuole capire da che parte vadano le nuvole.

Dove corrono?

A che velocità si spostano?

Si muovono tutte insieme o ognuna per conto suo?

Il bianco esplode, fa lacrimare gli occhi, ma il bambino si impegna a non sbattere mai le palpebre, ché non vuole perdersi nemmeno un istante di quella corsa lenta e inesorabile.

Mentre placido passa il tempo, scorrono domande, pensieri e sogni, volano alti come palloncini, seguendo la scia di quelle nuvole mai ferme, sebbene, quando guardate, sembrino immobili.

In un gioco interiore con sé stesso e la natura, un bambino stringe gli occhi e fissa il cielo, lasciandosi libero e leggero, fermo a uno sguardo esterno, eppure in volo dentro di sé.

Preso com’ero

[Varietà]

Eppure l’avevo messo qui

quel sogno,

sono certo di averlo messo qui da qualche parte.

Ricordo di aver pensato: “lo lascio qui, così sono sicuro di ritrovarlo”,

sarebbe stato il primo posto dove avrei cercato, quando sarebbe giunto il momento.

Ora che il momento è giunto,

o almeno credo,

di riprendere in mano quel sogno, di soffiarci sopra,

di farne qualcosa di più

di un semplice sogno buttato lì,

proprio ora,

non lo trovo più.

Com’è possibile?

Non è che i sogni sono volatili, vero?

Non è che sottoposti a una certa pressione, a una certa attesa, evaporano?

Non funziona così, vero?

A scuola non mi pare ce l’abbiano mai detto,

avrebbero dovuto dedicare un’intera lezione di chimica sui passaggi di stato dei sogni,

non ci hanno mai insegnato nulla del genere,

o magari non ero attento io,

ero così svagato,

preso com’ero da certi sogni.

Buio 3

[Varietà]

Due mani farneticano febbrilmente

balbettano

danzano

convergono in girotondi frenetici su loro stesse

senza requie

senza appigli

alla mercé di polpastrelli curvi sotto il peso delle aspettative

ricercano la strada perduta, la pace decaduta

o anche solo un paracadute lanciato a tutta velocità verso un suolo che non si vede

e se non si vede

forse non esiste.