[Varietà]
Mi pareva
un afflato di tradizione
un’istigazione peccaminosa
un tripudio olfattivo
una promessa alle papille
un addio alla sobrietà
una piscina di trigliceridi
e invece era
una parmigiana fatta in casa.
[Varietà]
Mi pareva
un afflato di tradizione
un’istigazione peccaminosa
un tripudio olfattivo
una promessa alle papille
un addio alla sobrietà
una piscina di trigliceridi
e invece era
una parmigiana fatta in casa.
[Varietà]
Sdraiato a terra
gres porcellanato effetto legno sotto la nuca
rimbomba una canzone
pulsa nel cervello
ovatta le sinapsi
panna cotta i pensieri.
Ma poi, quali pensieri?
Qui è tutto un pot-pourri di melassa e bassi
quattro-quarti e comandi vocali
amplificato dal gress porcellanato effetto legno
che è un ottimo conduttore
o forse no
in fisica avevo 4.
Ma poi, che canzone è?
Quella canna era decisamente troppo forte.
[Varietà]
Mi pareva
un assembramento recidivo
una nidiata abbandonata
un melting pot superfluo
una cerchia cospiratrice
un rotolacampo personale
una dimenticanza Jovanottiana
e invece era
la peluria dell’ombelico
[Varietà]
Chi non legge cantando gode solo a metà – https://www.youtube.com/watch?v=UFeKIviF6Ts
Ore bevi con me
versa un poco di Chianti
oh barista
è tanto che il bicchiere aspetta un Gin
quello che verserai
è un liquore importante
stapperò lo Champagne più costoso che hai laggiù
il Cointreau è mio
un mezzo litro basterà?
Nessuno ti dirà: “mi fermo qua”
Mi sbronzerò per sette
Ti servo io
c’è uno Zacapa accanto a te
chiedi e ti porterò
un po’ di Vov
che dolce sensazione nascerà (è una shenshassione dooolsce)
ogni birra che ho
anche quella più fredda
no non vale la vodka che tra poco ti aprirò
Ne vuoi ancor? (segna poi pagherò)
fra mille spumanti sceglierò (voglio quello più bello)
con un po’ di Kalhua o di Sangria
tra vini e cocktail spazierò
Vedo per tre (un Angelo Azzurro farò)
ma questa nausea passerà? (Preferisci un bel Porto?)
No, non berrò mai più, mai più quel rhum
solo un giro e poi me ne andrò.
Beh, quanto fa? (Duecento e sei)
Dai non scherzar (Duecento è ok)
E chi ce li ha? (Il conto è qua)
Non pagherò.
[Varietà]
Mi pareva
un momento di cedimento
una pietra di pongo
un intoppo di percorso
un’inforcata plantare
un augurio discutibile
un’interpretazione catartica
e invece avevo
pestato una merda
[Varietà]
Mi pareva
un ricordo sinestetico
una diapositiva acidula
un cocktail agrobiliare
una madelaine disarmonica
un sequel avariato
una risacca di passato
e invece era
il riproporsi della peperonata.
[Varietà]
Mi pareva
un tuffo nella condensa
un’immersione nel Crystal Ball
un sogno in apnea
una falla stomatidrica
un risveglio in umido
una notte sul bagnasciuga
e invece avevo
sbavato sul cuscino.
[Varietà]
Mi pareva
un richiamo del dopo sbornia
un’allergia alla cura
un abbraccio claustrofobico
una sciarpa avvelenata
un esperimento marcescente
una palude di rimorsi
e invece era
un’ascella non lavata
[Varietà]
Mi pareva
il prurito onnisciente
la sassaiola lillipuziana
lo sfogo dell’innaffiatoio
la disperazione del colino
il velo del sudore
l’indecisione del meteorologo
e invece era
la solita pioggerellina di merda
[Varietà]
Ci sono momenti in cui si fanno i conti con la propria vita fino al punto in cui si è arrivati, momenti in cui vengono messe alla prova le nostre capacità di adattamento, in cui testiamo duramente il nostro equilibrio mentale. Uno di quei momenti è il trasloco.
Essere mostruoso presente in tutte le mitologie e religioni conosciute dall’uomo, nei secoli il trasloco è stato rappresentato in modi assai diversi, ma con caratteristiche ricorrenti: per i Galiziani guidati da Bermudi II era spirito impalpabile seminatore di zizzania intrafamiliare; gli Aztechi della Triplice Alleanza lo rappresentavano come un viscido serpiforme divoratore di scatole; nella cultura Masai del clan Kisonko veniva tramandato il pericolo di un vortice psichico che causava raptus di censimento maniacale dei vestiti in eccesso. Ogni versione esistente è concorde in merito alle terribili conseguenze psicofisiche del trasloco.
Tutto questo però non deve fermare il nomadismo domestico, il desiderio di cambiamento e la voglia di avere un’anta in più per non dover accatastare le magliette ricreando delle colonne partenoniche di cotone e viscosa.
Perché il trasloco è sì una delle peggiori decisioni che si possano prendere nella vita, ma anche un’occasione di catarsi che trova la sua massima realizzazione nelle benne dell’Ecocentro. Forse solo Frodo può comprendere la sensazione che regala il trovarsi sulla cima di una rampa, di fronte a un enorme contenitore nel quale gettare mobili e oggetti, godendosi lo sforzo muscolare e gli applausi scroscianti dei vetri che si infrangono. Frodo e chiunque reputi il Capodanno il momento perfetto per fare spazio in casa.
Quando tutto sarà finito tra le dita rimarrà una malinconica fotografia, le stanze vuote e le benne piene, e la promessa che tutto questo non riaccadrà mai più. Fino al prossimo trasloco.