Rigidità

[Flussi]

Cubi mentali, pareti trasparenti su cui rimbalzano sinapsi illividite dalle botte infantili.

Danni generazionali con cui ognuno deve fare i conti, anche chi non vuole, anche chi non lo sa.

Mute crisi relazionali espresse in abbracci artici, parole senza forma che sgorgano dagli occhi, affogano tra le lacrime, soffocano nei silenzi.

Il tempo cristallizzatore e la pigrizia autoconservativa, in uno statico girotondo demoniaco senza fine, in perenne accelerazione verso il momento successivo.

I legacci che stringono lingue e cuori, ancorati alla soggettiva storia cerebrale di ognuno, pregando per un intervento chirurgico di rimozione emotiva forzata.

Sotto i piedi, intanto, scorrono fluidi i giorni.

Vita d’un paguro 5

[Varietà]

Edgar attendeva dall’altra parte della cornetta calcolando mentalmente il costo della chiamata. Ticchettava nervosamente la chela sul telefono pubblico, quando finalmente una voce squillante lo risvegliò dal torpore.

– Hola cuginettos! Como estas?

– Marcello, ciao. Tutto bene, tu?

– Una maravilla cuginettos! Ti è arrivata la cartolina?

– Sì, mi è arrivata, sent…

– Ecco! Qui è dieci volte meglio! Le spiagge sono più bianche, il mare più cristallino, e le chicas… oh le chicas non te le sto neanche a dire! Ho conosciuto una tellina che…

– Marcello senti, non ti offendere, non me ne frega un plancton. Devo parlarti.

– Che succede cuginettos?

– Sono completamente esausto Marcello. Me ne voglio andare.

– In che senso Edgar? È successo qualcosa tra te e Marisa?

– No! Cioè, sì… non lo so. Il problema non è lei, sono io, questo lavoro del plancton e quei peduncoli di guano a capo della società. Non lo so. Io e Marisa ci amiamo, ma non stiamo reggendo i colpi della vita, io non sto reggendo i colpi della vita e…

– Uoh, uoh fermo cugi, piglia fiato e cerchiamo di ragionare.

– L’ho già fatto Marcello. Ho già ragionato. Voglio andarmene, lo voglio fare per la mia famiglia, per Marisa, devo prendermi del tempo per capire cosa fare.

– Cugi mi sembra che tu stia dicendo un sacco di planctonate. Non vorrai lasciare Marisa e il piccolo?

– No Marcello, non voglio lasciarli, sono tutto per me. Ma lo faccio per loro. Sto distruggendo tutto, li sto facendo star male.

– Edgar, calmati. Non puoi prendere e mollare tutto così da un giorno all’altro. Hai una famiglia, un lavoro stabile, un…

– Mi sono licenziato.

– Cosa?? Che plancton dici?

– Stamattina, mi sono licenziato.

– Edgar che plancton hai in testa?

– Voglio venire nei Caraibi. Mi trasferisco lì per un po’. Rimetto a posto le idee, magari trovo un lavoretto, un posto carino e faccio poi trasferire Marisa e Lucas.

– Edgar, orca puttana, ma Marisa che dice di tutto questo?

– Marisa non sa nulla.

– Ma Poseidone scotoplanes.

Vita d’un paguro 4

[Varietà]

Cielo. Sole. Vento.

Dalla pelle dell’oceano spuntò la coda di una balena, nera e lucida di riflessi. In un movimento a rallentatore ritagliò l’orizzonte, poi s’immerse e scomparve. In aria galleggiava un gabbiano svagato, gli occhi stretti e le ali aperte. Volava, immaginando l’ignoto e sognando l’amore, o forse avendo solo fame. Sul bagnasciuga la schiuma delle onde si fermava per un attimo prima di dissolversi, colorando di scuro lo strato di spiaggia umido. A pochi metri dal volatile limite che le onde non avevano ancora superato, un paguro interruppe il silenzio con un poderoso rutto.

Marcello socchiuse gli occhi e guardò verso il cielo, rimanendo abbagliato per un attimo dai raggi solari caraibici. Quella mattina si era svegliato con un importante mal di testa, causato da un post sbronza di quelli da granchio reale. Non c’era niente da fare, pensò massaggiandosi le tempie, non si era ancora abituato al rum del posto, così dolce e infingardo.

Per festeggiare il suo primo mese caraibico aveva prenotato il privé più lussuoso del Crustacean Royale, offrendo da bere a tutti, gasteropodi e non. Gli effetti sarebbero stati persistenti, ma Marcello non dava impressione di preoccuparsene.

– Marçelo! Marçelo mio!

La voce acuta e sensuale apparteneva a Olinda, una tellina del posto che si era intrattenuta tutta la sera con Marcello e i suoi amici. Olinda aveva bevuto più di tutti loro messi insieme, senza scomporsi di un granello.

– Marçelo mio, che bruta viso che tiene! Todo bien?

– Si corallino mio, solo che non sono più il crostaceo di un tempo e certe serate non le reggo più un granché bene.

– Hihihi, que tonto que sei Marçelo, me fai morir!

– Eh, di ‘sti ritmi pure tu…

– Que?

– Nada amor, nada. Perché mi cercavi?

– Te busca un tipo que ha llamado al telefono del bar. Se chiama Edgardo.

Marcello diede l’impressione di non recepire immediatamente l’informazione, poi si alzò a fatica e si diresse verso il locale per rispondere alla chiamata del cugino.

Ritorno a casa (o Senza genere)

[Varietà]

Spinse il lucchetto chiuso disegnato sulla chiave, le luci dell’auto lampeggiarono rapidamente due volte e le serrature scattarono. Aveva trovato parcheggio a pochi metri dal portone di casa, dietro l’angolo del palazzo, accadeva raramente; eppure quella sera non avrebbe ritenuto sgradevole dover fare un giro in più per cercare un posto libero.

Aveva indugiato all’interno della macchina spenta per un tempo che sembrava adeguato a una ricerca di parcheggio medio lunga, forse anche qualcosina di più. Erano sembrati solo pochi secondi.

Si diresse verso lo spigolo dell’isolato con passo calmo, si concentrò per non strascicare i piedi, mantenendo un’andatura stanca, come dopo una giornata di lavoro pesante, anche se non era stata tale. Anzi, aveva passato una giornata soddisfacente, entusiasmante quasi, eppure non ne sentiva addosso i benefici.

Arrivò nei pressi del portone e alzò gli occhi verso la finestra illuminata, cercò di farlo con discrezione, come se guardasse qualcosa con la coda dell’occhio. La luce era accesa, il vasistas aperto, non si udiva alcun rumore.

Infilò la mano nella tasca, sentì subito il freddo delle chiavi sulle dita, ma le mancò apposta. Stette qualche secondo a frugare, un tintinnio soffocato certificava l’impegno della sua ricerca; quando ritenne di non poter proseguire oltre, tirò fuori il mazzo a cui era attaccato un portachiavi sdrucito di finta pelle.

Alzò un’ultima volta lo sguardo verso la finestra, sempre tentando di non far notare quel movimento, come se qualcuno stesse guardando, come se qualcuno stesse aspettando quel segno di debolezza. Alla finestra non c’era nessuno, solo giallo.

Infilò le chiavi nella serratura del portoncino, si inserirono subito, fece un sospiro strozzato ed entrò nell’androne.

Ghigna a culo

[Varietà]

Interno sera, cucina-salotto illuminata da globi tenui, sul muro le ombre delle felci, a terra gress porcellanato sbeccato in un punto dove cade sempre l’occhio.
Lei, lui, la tensione e una TV in sottofondo ignorata da tutti.
Lei, disillusa, lascia le briglie.
– E c’hai ‘na bella ghigna a culo.
Lui, interdetto, sull’orlo del KO, tenta il traversone.
– Il tuo concetto di amore è deleteriamente autoreferenziale.
Lei, sguardo basso, voce glabra.
– Vedi di levarti agirmente dar cazzo, prima ‘e ti deleteri la faccia.
Lui, mani pallide, ascella fetente.
– La verità è che non mi hai mai amato. Tu ami l’idea dell’amore, non me.
Lei, artica, tra le mani una katana.
– Bimbo, è finita. Pillia ‘ tu’ chiozzeri e sparisci. Se ti rivedo ti smuso.
Lui, a metà strada tra lei e la porta, quasi non respira.
– Stiamo facendo un errore, noi siamo molto più di questo. Siamo capaci di meglio. Io credo ancora in noi.
Lei, in piedi in direzione del bagno, un medio alzato alle sue spalle.
– Io no.

Vita d’un paguro 3

[Varietà]

Edgar era affranto. Dall’altra parte della conchiglia gli arrivavano i singhiozzi della moglie, si sentiva in colpa e impotente. Erano mesi che litigavano pressoché tutti i giorni, ma questa era la prima volta che Marisa non riusciva a controbattere al malumore del marito.

Si amavano, di quello era certo, si amavano profondamente. Se lo ripetevano spesso, come se avessero bisogno di ricordarselo a vicenda, come se avessero bisogno di uno scoglio al quale aggrapparsi.

Sembrava passato un secolo da quando avevano firmato il contratto per l’acquisto del loro masso, da quando aveva tenuto tra le chele il piccolo Lucas per la prima volta, da quando si svegliava la mattina carico di entusiasmo per recarsi al lavoro di buon’ora, salutando tutti con il sorriso, orgoglioso di far parte della Cooperativa Pagurense, che tanto bene faceva alla società e all’ambiente.

O almeno così gli avevano fatto credere.

La Cooperativa si era rivelata una società satellite di una multinazionale con pochi scrupoli e molti profitti. Il mantello di solidarietà e politica green nascondeva un giro di interessi dell’élite dei granchi ben abbienti, che sfruttava la facciata eco-solidale della società per farsi belli alle cene di beneficienza, mentre riciclavano nient’altro che i loro guadagni illeciti. Gli scandali avevano colpito le alte sfere, ma gli effetti si erano sentiti perlopiù tra i semplici lavoratori: riduzione di personale, ritardi nei pagamenti e orari al limite del crostaceamente accettabile.

Negli anni la disillusione e la routine avevano fiaccato lo spirito di Edgar, portandolo, senza rendersene conto, a essere ciò che più di tutto detestava: suo padre.

Alzò lo sguardo e vide che sul comodino, tra la posta che Marisa aveva raccolto, c’era una cartolina colorata.

Proveniva dai Caraibi ed era firmata “Marcello”. Suo cugino. Quel maledetto fancazzista. Edgar fissò la cartolina per dieci minuti buoni, poi la stracciò.

Ferro di cavallo

[Varietà]

Tavole a U

brainstorming tra gnu

incornate tra incoronate teste di

membri di una mandria lanciata a tutta velocità verso un bottone verde che click,

bang!

Boom!

Rinchiusi a ruminare nel buio di una prateria mentale

piatta,

vuota,

beeeh!

Tutti a casa orsù

mandria di gnu.