Vita d’un paguro 6

[Varietà]

Lucas aveva origliato per caso la conversazione e adesso era nel mezzo di una tromba marina di emozioni. Sentiva la rabbia bruciante nei confronti del padre, della sua folle decisione e delle sue menzogne; intravedeva un riflesso di tristezza da abbandono, da solitudine incombente; percepiva un’eco di senso di colpa, pesante alla base del collo, a cui non riusciva a dare una forma vera e propria. Nel gorgo si mescolavano paura, sgomento, violenza e voglia di scappare.

Prima che riuscisse a far ordine e decidere che cosa fare, il padre girò l’angolo e lo vide.

– Lucas, che cos…

– Pezzo di guano, mi fai schifo, mi fa schifo che tu sia mio padre, ti odio!

Edgar rimase paralizzato di fronte alla rabbia del figlio, passò qualche secondo prima che riuscisse ad articolare una qualsiasi parola.

– Lucas, non capisci, ti spiegherò tutto, tutto si risolverà, è per…

– Non dire che è per il mio bene, né per quello di mamma! Sei un plancton di egoista del plancton e ti odio!

– Lucas, ora basta! Cosa ne puoi sapere tu? Sono tuo padre non ti permettere di mancarmi di rispetto in questo modo!

La voce usciva acuta ed affannata, le parole erano istintive, sragionate.

Lucas guardava il padre negli occhi, mentre sentiva i propri che si gonfiavano come la marea.

– Perché vuoi abbandonarci? Cosa ti abbiamo fatto?

Il tremolio della bocca ebbe la meglio e Lucas sentì le lacrime sgorgare lente. Edgar percepì il peso di un’intera baia calarglisi sulla conchiglia, lottò contro l’insorgere del pianto. Non voleva crollare di fronte al figlio.

– Lucas, tu e la mamma siete tutto per me, io, io non voglio causarvi dolore, come posso… come posso darvi l’amore che meritate se navigo in tutta questa tristezza?

Il giovane paguro aveva abbassato lo sguardo, di tanto in tanto tirava su con il naso.

– Non lasciarmi solo papà. Quando Lucas alzò il capo Edgar sentì il fiato spezzarsi, gli occhi si riempirono di lacrime, poi girò la conchiglia e se ne andò.

Servizio pulizia interni

[Varietà]

Ho ordinato un caffè e me lo sono portato al tavolo, esonerando il calvo dietro al bancone da un servizio che dubito sia previsto qui, al bar dell’autolavaggio. Più precisamente degli autolavaggi, poiché, in questo piazzale a lato di una strada molto battuta, il proprietario d’auto lercia ha l’imbarazzo della scelta: far da sé, cedere l’incombenza a sistemi automatici più o meno complessi, o lasciare che siano esperti del settore a mettere mano su tappetini incrostati e cerchioni infangati.

Io la mia scelta l’avevo fatto poco prima; mentre mi aggiravo in quella variegata offerta igienica, il mio sguardo era stato attirato da una scritta a mano, su un paio di fogli A3 scotchati insieme, che recitava “Servizio pulizia interni”. La nettezza della macchina non è mai stata in cima ai miei pensieri, delego volentieri l’onere in cambio d’una cifra ragionevole, con un’alta probabilità di non vederne mai la ricevuta.

Microevasione a parte, riparato dalle lastre di plexiglass d’un accrocchiato dehor, osservo il mondo degli autolavaggi che mi scorre davanti: ciclisti arcobaleno, un’habitué del bar su tacchi a spillo, poliziotti in borghese, cinquantenni dall’aria spaesata, un paio di signori tassellati ai migliori posti del locale. Negli immediati dintorni del bar si raduna una fauna prettamente maschile, che mi ricorda i gruppetti estivi che accerchiavano il calcetto della piscina. Intorno a me sciama umanità variegata, occasionale o di casa, mentre vetture entrano sudicie ed escono mondate da polvere e peccati.

– Capo! È pronta.

Riporto al banco la tazzina, faccio un cenno di saluto al calvo e, con un vago senso di colpa, poso le scarpe su tappetini meravigliosamente lindi.

Spettacolo capitale

[Varietà]

Balla, balla bambolotto
sopra un palco d’immondizia
fa’ una bella piroetta
in eterno il tuo supplizio.
Canta, canta marionetta
una nenia senza senso
alla fine del tuo atto
spera in una morte lesta.
Esibisciti per noi
grato per l’eternità
al padrone che lassù
sparge soldi agli operai.

Il colore del burrone

[Varietà]

Sul ciglio d’un orrido dondolano un paio d’occhi, si sporgono verso il buio, poi si tirano indietro.

Le sfumature d’un burrone cangiano di sguardo in sguardo, di pennellata in pennellata.

Una paura a setole dure stenderà colori rigidi, farà tremare muri e sciogliere gelati.

Un rimpianto a punta arrotondata ungerà lo sfondo con gocce lucide, accenderà lampioni irreali.

Una delusione dal pelo sintetico lascerà solchi carmini, incendierà felci secche e parole amare.

Una tristezza a rullo largo coprirà vuoti e singhiozzi, bagnerà federe e fogli bianchi.

Una rabbia dal manico di metallo gratterà il centro della tela, esploderà urla belluine nel silenzio.

Sul ciglio d’un orrido dondolano un paio d’occhi, si sporgono verso il buio, poi si lanciano nel vuoto e lo colorano.

Statistiche e riflessioni

[Varietà]

[Post più autoreferenziale, e autocelebrativo, del solito, abbiate pazienza.]

Ieri Gabbiani grassi e fogli volanti ha compiuto 2 anni.

Fuori i numeri! Come richiede la società dei consumi e delle statistiche. 315 testi, con questo; 203 followers su Instagram, 194 likes su Facebook, alla data in cui scrivo, che a spanne significa, senza contare i doppioni, 1 post per ogni follower.

Alcune gioconde riflessioni in merito.

La réclame.

Sono aperti i saldi! Che ognuno di voi si accaparri un post! Tutti testi originali made in me 100%! Presto, i migliori stanno già andando a ruba! È un’offerta che scade nel momento in cui la leggete!

La riflessione piagnona.

Scrivere sui social, farlo in maniera molto personale, mischiando generi e ispirazioni, buttando dentro presunta poesia, sfoghi e storielle dal significato profondo quanto un pozzo, lo facciamo in tanti. Troppi. E badate bene, mi metto nel “troppi”. Però non si fa del male a nessuno. Non è vero, a volta si fa del male a noi stessi, ma spesso l’arroganza supera l’autolesionismo. Procediamo quindi, al galoppo verso nessuno sa cosa.

La brillante conclusione dal sorriso amaro.

Quella che in fondo tutti cerchiamo, che spesso contraddistingue un testo mediocre da un testo che appare pregno di significato. Beh, la brillante conclusione questo testo sconclusionato non ce l’ha, ci sono due candeline, tocca soffiarci sopra, guardare il fumo che va e sorridere a questo strano mondo.

Tanti auguri ai gabbiani grassi e ai fogli volanti.

Vita d’un paguro 5

[Varietà]

Edgar attendeva dall’altra parte della cornetta calcolando mentalmente il costo della chiamata. Ticchettava nervosamente la chela sul telefono pubblico, quando finalmente una voce squillante lo risvegliò dal torpore.

– Hola cuginettos! Como estas?

– Marcello, ciao. Tutto bene, tu?

– Una maravilla cuginettos! Ti è arrivata la cartolina?

– Sì, mi è arrivata, sent…

– Ecco! Qui è dieci volte meglio! Le spiagge sono più bianche, il mare più cristallino, e le chicas… oh le chicas non te le sto neanche a dire! Ho conosciuto una tellina che…

– Marcello senti, non ti offendere, non me ne frega un plancton. Devo parlarti.

– Che succede cuginettos?

– Sono completamente esausto Marcello. Me ne voglio andare.

– In che senso Edgar? È successo qualcosa tra te e Marisa?

– No! Cioè, sì… non lo so. Il problema non è lei, sono io, questo lavoro del plancton e quei peduncoli di guano a capo della società. Non lo so. Io e Marisa ci amiamo, ma non stiamo reggendo i colpi della vita, io non sto reggendo i colpi della vita e…

– Uoh, uoh fermo cugi, piglia fiato e cerchiamo di ragionare.

– L’ho già fatto Marcello. Ho già ragionato. Voglio andarmene, lo voglio fare per la mia famiglia, per Marisa, devo prendermi del tempo per capire cosa fare.

– Cugi mi sembra che tu stia dicendo un sacco di planctonate. Non vorrai lasciare Marisa e il piccolo?

– No Marcello, non voglio lasciarli, sono tutto per me. Ma lo faccio per loro. Sto distruggendo tutto, li sto facendo star male.

– Edgar, calmati. Non puoi prendere e mollare tutto così da un giorno all’altro. Hai una famiglia, un lavoro stabile, un…

– Mi sono licenziato.

– Cosa?? Che plancton dici?

– Stamattina, mi sono licenziato.

– Edgar che plancton hai in testa?

– Voglio venire nei Caraibi. Mi trasferisco lì per un po’. Rimetto a posto le idee, magari trovo un lavoretto, un posto carino e faccio poi trasferire Marisa e Lucas.

– Edgar, orca puttana, ma Marisa che dice di tutto questo?

– Marisa non sa nulla.

– Ma Poseidone scotoplanes.

Vita d’un paguro 4

[Varietà]

Cielo. Sole. Vento.

Dalla pelle dell’oceano spuntò la coda di una balena, nera e lucida di riflessi. In un movimento a rallentatore ritagliò l’orizzonte, poi s’immerse e scomparve. In aria galleggiava un gabbiano svagato, gli occhi stretti e le ali aperte. Volava, immaginando l’ignoto e sognando l’amore, o forse avendo solo fame. Sul bagnasciuga la schiuma delle onde si fermava per un attimo prima di dissolversi, colorando di scuro lo strato di spiaggia umido. A pochi metri dal volatile limite che le onde non avevano ancora superato, un paguro interruppe il silenzio con un poderoso rutto.

Marcello socchiuse gli occhi e guardò verso il cielo, rimanendo abbagliato per un attimo dai raggi solari caraibici. Quella mattina si era svegliato con un importante mal di testa, causato da un post sbronza di quelli da granchio reale. Non c’era niente da fare, pensò massaggiandosi le tempie, non si era ancora abituato al rum del posto, così dolce e infingardo.

Per festeggiare il suo primo mese caraibico aveva prenotato il privé più lussuoso del Crustacean Royale, offrendo da bere a tutti, gasteropodi e non. Gli effetti sarebbero stati persistenti, ma Marcello non dava impressione di preoccuparsene.

– Marçelo! Marçelo mio!

La voce acuta e sensuale apparteneva a Olinda, una tellina del posto che si era intrattenuta tutta la sera con Marcello e i suoi amici. Olinda aveva bevuto più di tutti loro messi insieme, senza scomporsi di un granello.

– Marçelo mio, che bruta viso che tiene! Todo bien?

– Si corallino mio, solo che non sono più il crostaceo di un tempo e certe serate non le reggo più un granché bene.

– Hihihi, que tonto que sei Marçelo, me fai morir!

– Eh, di ‘sti ritmi pure tu…

– Que?

– Nada amor, nada. Perché mi cercavi?

– Te busca un tipo que ha llamado al telefono del bar. Se chiama Edgardo.

Marcello diede l’impressione di non recepire immediatamente l’informazione, poi si alzò a fatica e si diresse verso il locale per rispondere alla chiamata del cugino.

Ritorno a casa (o Senza genere)

[Varietà]

Spinse il lucchetto chiuso disegnato sulla chiave, le luci dell’auto lampeggiarono rapidamente due volte e le serrature scattarono. Aveva trovato parcheggio a pochi metri dal portone di casa, dietro l’angolo del palazzo, accadeva raramente; eppure quella sera non avrebbe ritenuto sgradevole dover fare un giro in più per cercare un posto libero.

Aveva indugiato all’interno della macchina spenta per un tempo che sembrava adeguato a una ricerca di parcheggio medio lunga, forse anche qualcosina di più. Erano sembrati solo pochi secondi.

Si diresse verso lo spigolo dell’isolato con passo calmo, si concentrò per non strascicare i piedi, mantenendo un’andatura stanca, come dopo una giornata di lavoro pesante, anche se non era stata tale. Anzi, aveva passato una giornata soddisfacente, entusiasmante quasi, eppure non ne sentiva addosso i benefici.

Arrivò nei pressi del portone e alzò gli occhi verso la finestra illuminata, cercò di farlo con discrezione, come se guardasse qualcosa con la coda dell’occhio. La luce era accesa, il vasistas aperto, non si udiva alcun rumore.

Infilò la mano nella tasca, sentì subito il freddo delle chiavi sulle dita, ma le mancò apposta. Stette qualche secondo a frugare, un tintinnio soffocato certificava l’impegno della sua ricerca; quando ritenne di non poter proseguire oltre, tirò fuori il mazzo a cui era attaccato un portachiavi sdrucito di finta pelle.

Alzò un’ultima volta lo sguardo verso la finestra, sempre tentando di non far notare quel movimento, come se qualcuno stesse guardando, come se qualcuno stesse aspettando quel segno di debolezza. Alla finestra non c’era nessuno, solo giallo.

Infilò le chiavi nella serratura del portoncino, si inserirono subito, fece un sospiro strozzato ed entrò nell’androne.